mercoledì 3 dicembre 2008

Uguale a lui


C’è una piccola ruga che solca proprio l’angolo che va dalla mia palpebra inferiore allo zigomo. E’ una linea che non mi preoccupa, perché mi rende simpatica. Sbuca fuori solo quando sorrido di cuore. Un giorno sarà più marcata e so che si piegherà verso il basso, proseguendo almeno fino a metà guancia. Quella ruga mi dimostra che sono tale e quale mio padre. Stesse onde strette sulla testa, stesse ciglia piegate. Le labbra no, quelle provengono da una zia morta nel dopoguerra di TBC, ma il sorriso monolaterale quando ascolto le cazzate altrui, quello, è proprio uguale.Stessa camminata robotica, nonostante il mio genere femminile ne attenui un po’ la durezza. Ho guardato con sospetto le mani tozze e le gambe corte di mio padre per tutta la vita. Mi rimandavano l’immagine di un campagnolo che tanto sarebbe piaciuta al caro Pasolini, ma non a me. Con un corpo che bada alla sostanza, che si nutre quando ha fame, che beve quando ha sete e che dorme fino a quando ne ha voglia sopportando poi con incredibile energia sforzi fisici e climi crudeli. Senza complicazioni ulteriori, senza il cervello di mezzo. Ne posso immaginare, con un certo fastidio, persino la sessualità: marcata, senza fronzoli, terragna. Io no. Io ho trascorso una trentina d’anni sperando che Darwin avesse torto, salvo a ritrovarmi con i polpacci bisognosi di un tacco per essere slanciati, e le mani rotonde da bambina, anche adesso che non lo sono più.Uguale a lui.Non ci parliamo mai. Se ci incrociamo per le scale, nessuno dei due alza gli occhi, e tutti e due preghiamo perché l’altro saluti per prima e tolga entrambi dall’imbarazzo. L’ultimo contatto fisico risale a più di dieci anni fa, in un momento di dolore disperato, la sua testa bianca stretta tra le mie mani. Appena un minuto dopo, ancora distanza. Di un’altra volta ricordo un braccio agganciato al suo per pochi secondi, il tempo di attraversare la navata centrale di una chiesa. Ma in quel caso la vera preoccupazione era evitare lo strascico con i piedi per non ruzzolare davanti a duecento invitati.Un giorno mio padre non sarà più. E’ questo che penso da un po’.Credo che per recuperare non ci sia più tempo.So già che, dopo, guardarsi allo specchio sarà terribile. Rivedrò la sua faccia, travestita da donna.Chissà se avrò mai delle rughe solo mie.

pubblicato su www.gerypalazzotto.it